31 giorni in Ecuador
giusto il tempo per lasciarsi graffiare l’anima
recensione a cura di Fausto Mariani
Ognuno di noi ricorda di aver letto molti libri. Ma spesso di molti libri non ricordiamo i contenuti, forse anche a voi capita solo di ricordare di averli letti magari tanti anni fa. Invece ci sono dei libri che vi sono piaciuti talmente tanto, che vi hanno divertito o che li avete giudicati così importanti. O libri che avete riletto tante volte, talmente tante che ve li ricordate perfettamente.
Ma almeno per me, sono pochi i libri davvero importanti. E spesso non erano quelli “divertenti”.
Ci sono alcuni libri di Pirandello (fra tutti “Uno nessuno e centomila”). C’è (pare incredibile) “Il grande Boh!” di Jovanotti. C’è “Lettere contro la guerra” di Tiziano Terzani. E “La guerra infinita” di Giulietto Chiesa. Eppoi “Buskashì - Viaggio dentro la guerra” di Gino Strada.
Ci sono i libri su Auschwitz di Primo Levi. In particolare “Se questo è un uomo” e “La tregua”.
C’è Otto Friedrich con “Auschwitz Storia del Lager 1940-1945” e Viktor E. Frankl “Uno Psicologo nei Lager”.
E' un libro che poco fa ho appena finito mi sento di dire che sono convinto che il libro di Tania Belli:“31 giorni in Ecuador giusto il tempo per lasciarsi graffiare l’anima” di Fabio Croce Editore sarà uno dei pochi libri davvero importanti della mia vita.
Perché? Non solo perché l’ha scritto una mia amica. Non basta, non sarebbe un valore universale, che potrebbe interessarvi.
Per i suoi contenuti.
Io Tania l’ho vista crescere. E devo dire che nel corso degli anni non sempre siamo andati d’accordo. A volte –tanti anni fa- ci siamo magari ignorati, eravamo più giovani, e di idee diverse. Eppure tutti negli anni cambiano, Tania.. e anche io. E Tania ha fatto –vista dall’esterno- una esperienza di vita in Ecuador che ha permesso a lei di conoscersi fino in fondo e a me di conoscerla meglio con quello che ha saputo dire e scrivere. Mi ha … sorpreso! In positivo, ovviamente. Ha anche saputo rischiare per documentare dei fatti e delle sensazioni che troppo spesso vengono ignorate o sottovalutate nella vita quotidiana e nei mass-media.
I buoni segni c’erano tutti: la comune esperienza nella Protezione Civile del mio paese, almeno fino a che è durata.
Il viaggio che insieme ad altri abbiamo fatto ad Auschwitz nel marzo 2005. Per me era il secondo.
La sua collaborazione al sito http://www.e-guernica.net
Diciamo che sono stato in sua compagnia, mentre leggevo. Ed ha saputo dire argomenti nel modo giusto. Ha saputo argomentare. Ha parlato dei “niños de la calle”, i ragazzi di strada chiamati anche “gomeros” per via della droga che usano per disperazione a Santo Domingo de los Colorados. Ha scritto dell’esperienza di sviluppo e di micro-credito di Salinas, grazie anche al lavoro di un padre (padre Antonio Polo) che da quando è arrivato lì (era il 1968) ha contribuito al benessere della comunità (non sono tutti come il Cardinal Ruini, per fortuna!).
E’ un libro diario di viaggio, ma è anche un saggio, ed anche una raccolta di poesie dell’autrice. Si presta dunque ad essere letto in tre fasi. Prima il diario, poi le note (forse troppe), poi le poesie. E ci sono foto.
Serve ad aprire gli occhi, per chi non l’avesse ancora fatto, sul traffico internazionale di cocaina e sugli “effetti collaterali” dei maldestri tentativi per colpire i “contadini” produttori, gettando sostanze chimiche dagli aerei che producono “fumigazioni” altamente nocive per gli innocenti abitanti di Lago Agrio.
Serve a far amare un paese come l’Ecuador, con i suoi problemi e le sue contraddizioni, anche senza mai esserci stati.
Tania ha deciso di dedicare i proventi del libro a donazioni per progetti per l’Ecuador. Spetta a tutti noi diffondere questo libro, leggerlo e consigliarlo agli amici (come sto facendo) e dire a Tania: “Coraggio, sei sulla buona, buonissima strada”. Grazie per aver saputo dire quello che hai detto. Come è stato detto nella prima presentazione in via Cavour a Roma, oltre al “Saper Fare”, è importante con questo libro, con il nostro sito, con ogni iniziativa di volontariato “il far Sapere”.
Far sapere che ci sono iniziative e bisogni. Far sapere cosa si può fare.
E cito anch’io per concludere la frase di Raoul Follereau “la più grande disgrazia che vi possa capitare sia quella di non essere utile a nessuno, e che la vostra vita non serve a niente”.